Scrittore, dedica il suo lavoro al racconto dei luoghi, urbani e non
C’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce. Ogni volta che attraverso la Dora mi torna in mente questa vecchia canzone di Leonard Cohen, perché penso non ci sia niente che definisca meglio Barriera. Una città nella città dove la luce - che filtra tra le sue case di ringhiera, i banchi del mercato, i muri scrostati delle fabbriche vuote - connette cosa siamo stati a cosa potremmo diventare.
Risalendo la ciclabile di corso Novara ce lo raccontano i Docks Dora. Nati come deposito merci di inizio ‘900, hanno avuto una seconda vita come loft per studi e gallerie e una terza quando sono diventati i protagonisti di una felice stagione della scena notturna torinese. Su corso Vercelli ce lo conferma l’enoteca Prunotto, dove il bancone lucido, le botti a vista, l’aria che sa sempre di vino e di festa ti tolgono ogni ansia di rincorrere mode ed happy hour.
Non lontano, in Via Baltea, c’era invece una tipografia. Oggi un pozzo senza fondo di corsi e laboratori per imparare a fare qualunque cosa, prima di tutto che nessuno è un’isola. A parte forse l’Ombrellificio Torinese. Una bottega nata nel 1890 dove ogni ombrello è un pezzo unico creato su misura per te, come solo certe bacchette magiche di Diagon Alley.
E poi ci sono i Bagni: il ponte tra nuovi e vecchi residenti, dove le docce fatte per chi viveva in case senza servizi ora ospitano arte e socialità. Infine il Bunker, una serie di capannoni ex industriali trasformati in opere di street art, orti urbani, un bacino per il wakeboard, una scuola di circo. Mentre balliamo a un dj-set, la musica rimbomba anche nel rifugio antiaereo costruito, proprio sotto di noi, durante la Seconda guerra mondiale per gli operai di Scalo Vanchiglia.
Ecco Barriera, una scatola magica in cui ognuno può trovare il proprio posto, a patto di non accontentarsi mai del solo qui, solo ora.